Ora, non che uno voglia essere polemico a tutti i costi. Però c'è qualcosa che va oltre la semplice citazione mussoliniana che a me fa effetto nelle parole del premier. Perché in effetti bisognerebbe ascoltarle bene, nelle virgole, nelle pause, nell'intonazione. "..colui che era considerato un dittatore, un grande e potente dittatore", dice S.B. Chiariamo un paio di punti. Non è che Mussolini fosse considerato un dittatore. Lo era. E questo non è un dettaglio. Come non è un dettaglio il tono compiaciuto dell'inciso: un grande e potente dittatore. Quasi come nelle favole.
Il rapido cambio di soggetto (abbiamo-ho letto recentemente) potrebbe invece essere semplicemente un lapsus. Il plurale majestatis, se l'è ricordato al volo, ancora non gli compete.
venerdì 28 maggio 2010
mercoledì 26 maggio 2010
Che le balle ancor le girano [reprise con i comunque al seguito]
Stamattina, alla radio, Presta e Dose facevano ballare sfaccendati milanesi in piazza San Babila al ritmo del sirtaki, giusto per fare un po' di prove pratiche di Grecia in vista dei tempi rosei che ci attendono. Se non fosse che la feta mi fa anche un po' schifo, la prenderei per questa sera. Magari una parmigiana di melanzane può passare per moussaka impoverita.
Comunque i milanesi di Piazza San Babila erano sfaccendati by definition solo perché io ero troppo affaccendata per passare a vedermi i conigli in piazza. Rosicamento, si chiama.
Nel frattempo, abbiamo scoperto che il baratro è a meno di un passo, dopo averci raccontato per mesi che no, noi stavamo meglio degli altri. E morire se qualcuno dall'opposizione glie lo fa notare. Perché poi sarà anche vero che lui, papi-chulo, non era d'accordo, però alla fine anche nascondendosi dietro a Tremonti il risultato è uno solo: ha mentito. Un'altra volta. L'ennesima. Altrove forse lo avrebbero fermato alla prima. A noi ci piace farci del male. Tanto tanto male.
Comunque bugiardo lui, bugiardi gli amichetti suoi, che cercano di far mentire anche le carte, con una spudoratezza che davvero non ha eguali.
E sempre nel frattempo, si sono accorti che i bamboccioni nun ja fanno, perché senza lavoro, pur'anche con una laurea in tasca, fuori di casa non ci si va. E visto che di fondi per renderli indipendenti, questi poveri figli, lo Stato non ne ha più, meglio raccomandarsi alla santa pazienza dei genitori. Che già lo sapevano, eh.
E comunque l'infante col doppio nome e il cognome che inizia per B. è turbato. Non ci ha più la culla sull'oceano e vuoi mettere che trauma. C'è solo da sperare che non lo scagionino, il papi Flavio.Capace di accollare allo Stato, e a noi di converso,le spese della psicoterapia per il poppante e la di lui mamma. Che io è proprio con lei che mi immedesimo. Sai com'è.
Comunque finale: A fine anno forse cambiamo definitivamente sede. Per la prima volta in quindici anni è vicina a casa mia. Ma vicina vicina. Sette chilometri, per capirci.Speriamo di durare fino ad allora.
Comunque i milanesi di Piazza San Babila erano sfaccendati by definition solo perché io ero troppo affaccendata per passare a vedermi i conigli in piazza. Rosicamento, si chiama.
Nel frattempo, abbiamo scoperto che il baratro è a meno di un passo, dopo averci raccontato per mesi che no, noi stavamo meglio degli altri. E morire se qualcuno dall'opposizione glie lo fa notare. Perché poi sarà anche vero che lui, papi-chulo, non era d'accordo, però alla fine anche nascondendosi dietro a Tremonti il risultato è uno solo: ha mentito. Un'altra volta. L'ennesima. Altrove forse lo avrebbero fermato alla prima. A noi ci piace farci del male. Tanto tanto male.
Comunque bugiardo lui, bugiardi gli amichetti suoi, che cercano di far mentire anche le carte, con una spudoratezza che davvero non ha eguali.
E sempre nel frattempo, si sono accorti che i bamboccioni nun ja fanno, perché senza lavoro, pur'anche con una laurea in tasca, fuori di casa non ci si va. E visto che di fondi per renderli indipendenti, questi poveri figli, lo Stato non ne ha più, meglio raccomandarsi alla santa pazienza dei genitori. Che già lo sapevano, eh.
E comunque l'infante col doppio nome e il cognome che inizia per B. è turbato. Non ci ha più la culla sull'oceano e vuoi mettere che trauma. C'è solo da sperare che non lo scagionino, il papi Flavio.Capace di accollare allo Stato, e a noi di converso,le spese della psicoterapia per il poppante e la di lui mamma. Che io è proprio con lei che mi immedesimo. Sai com'è.
Comunque finale: A fine anno forse cambiamo definitivamente sede. Per la prima volta in quindici anni è vicina a casa mia. Ma vicina vicina. Sette chilometri, per capirci.Speriamo di durare fino ad allora.
lunedì 24 maggio 2010
Ipazzari - ovvero i cazzari con l'iPad
Considerato che ci avevano già l'iPhone, che ci avevano i notebook Hp di ultimissimissimissimissima generazione, e tutta una serie di altri che che in questo momento non mi vengono in mente, in effetti ai parlamentari europei mancava proprio l'iPad. E considerando il numero di portaborse che ciascuno si porta appresso, ci vuole una bella faccia tosta a definire cumbersome il pc.
Spero comunque che i 4,3 milioni di sterline che [ci]costerà il fantasmagorico It mobility project non siano solo per gli iPad. Perché se l'aritmetica non è una opinione - e sono quasi certa che non lo sia - 4,3 milioni diviso 500, che è il costo unitario di ciascuna tavoletta, fa 8600 tavolette. Tolti i 736 parlamentari, i settemilaottocentoerotti iPad in più a chi dovrebbero andare?
Spero comunque che i 4,3 milioni di sterline che [ci]costerà il fantasmagorico It mobility project non siano solo per gli iPad. Perché se l'aritmetica non è una opinione - e sono quasi certa che non lo sia - 4,3 milioni diviso 500, che è il costo unitario di ciascuna tavoletta, fa 8600 tavolette. Tolti i 736 parlamentari, i settemilaottocentoerotti iPad in più a chi dovrebbero andare?
Varia [Dis]Umanità
Ovvero, quel che di Las Vegas mi era rimasto da dire.
Che poi aveva ragione G. quando mi diceva che comunque io Las Vegas avrei dovuto vederla, giusto per farmi un'idea. Perché se te la raccontano non è la stessa cosa che toccar da vicino quel tripudio supersize ricostruito. Rifatto. Come le donne siliconate che caracollano in branchi su tacchi vertiginosi che non san portare, inguainate in vestiti dagli improbabili colori e dagli impossibili tessuti. Ras la moule, naturalmente. Mercanzia in bella vista, per uomini distratti, che si trascinano da un locale all'altro gonfi di birra in cerca della prossima slot machine. Dove troveranno mai il tempo e il modo per incontrarsi e sposarsi in una qualsiasi delle chapels della città resta per me un mistero.
Comunque il grand tour degli alberghi l'ho fatto e confermo: al Venetian i finti gondolieri e le finte gondoliere cantano O Sole Mio. Al New York New York c'è pure Little Italy e al Bellagio, se è pur vero che di George non c'è nemmeno traccia, il soffitto resta pur sempre rivestito di fiori di vetro.
Le slot machine sono in funzione dalla mattina alla sera, ma temo che l'elettronica abbia cancellato la poesia. Non funziona come nei film, cioè. Non c'è nessuno che gira con i bicchieri stracolmi di monetine e manca il gesto mistico del tirare la leva, aspettando il tintinnio della vincita. Adesso si preme un bottone. E se si è vinto, lo si scopre dal voucher di fine serata.
All'angolo della strada, signori un po' in età promettono donne directly in your room nel giro di mezz'ora e il mobile bar in stanza offre noccioline, coca cola, superalcolici di varia gradazione, preservativi, lubrificanti e antisettici. Never seen before.
Benvenuti a Sin City, si legge qui e là. Un Sin dozzinale, fatto di gals-gals-gals, tette al vento e culo in fuori, di bevande supersize e di notti spese tra luci colorate e aria condizionata: un altro giro e via, prima o poi la fortuna arriverà. Quasi triste, dietro la crosta luccicante.
Che poi aveva ragione G. quando mi diceva che comunque io Las Vegas avrei dovuto vederla, giusto per farmi un'idea. Perché se te la raccontano non è la stessa cosa che toccar da vicino quel tripudio supersize ricostruito. Rifatto. Come le donne siliconate che caracollano in branchi su tacchi vertiginosi che non san portare, inguainate in vestiti dagli improbabili colori e dagli impossibili tessuti. Ras la moule, naturalmente. Mercanzia in bella vista, per uomini distratti, che si trascinano da un locale all'altro gonfi di birra in cerca della prossima slot machine. Dove troveranno mai il tempo e il modo per incontrarsi e sposarsi in una qualsiasi delle chapels della città resta per me un mistero.
Comunque il grand tour degli alberghi l'ho fatto e confermo: al Venetian i finti gondolieri e le finte gondoliere cantano O Sole Mio. Al New York New York c'è pure Little Italy e al Bellagio, se è pur vero che di George non c'è nemmeno traccia, il soffitto resta pur sempre rivestito di fiori di vetro.
Le slot machine sono in funzione dalla mattina alla sera, ma temo che l'elettronica abbia cancellato la poesia. Non funziona come nei film, cioè. Non c'è nessuno che gira con i bicchieri stracolmi di monetine e manca il gesto mistico del tirare la leva, aspettando il tintinnio della vincita. Adesso si preme un bottone. E se si è vinto, lo si scopre dal voucher di fine serata.
All'angolo della strada, signori un po' in età promettono donne directly in your room nel giro di mezz'ora e il mobile bar in stanza offre noccioline, coca cola, superalcolici di varia gradazione, preservativi, lubrificanti e antisettici. Never seen before.
Benvenuti a Sin City, si legge qui e là. Un Sin dozzinale, fatto di gals-gals-gals, tette al vento e culo in fuori, di bevande supersize e di notti spese tra luci colorate e aria condizionata: un altro giro e via, prima o poi la fortuna arriverà. Quasi triste, dietro la crosta luccicante.
domenica 23 maggio 2010
Triplete
Ovvero: quando ci vuole ci vuole. (Anche se il Mou se ne va)
E poi ieri era anche il Pacman Day. E loro, a Mountain View, sono davvero geniali.
Di Las Vegas parlerò un'altra volta. Stasera è giusto emozionarsi un po'. Ecco.
martedì 18 maggio 2010
Varia Umanità
Che quando uno ha davanti a sé poco meno di dieci ore di volo, finisce per studiarseli bene i coinquilini con i quali le trascorrerà. Per lo meno in attesa di Morfeo e del benefico scomodissimo abbiocco. Così, su quell'aereo, ho scoperto che ce ne erano due di comitive inglesi, una tutta al maschile, una tutta al femminile, in viaggio per Las Vegas in un folle quanto dispendioso addio al celibato/nubilato. Dev'essere una nuova moda.
Le ragazze sfoggiavano tutte la stessa maglietta, rosa come ogni Hen Do che si rispetti impone, celebrativa dell'evento. Tranne lei, la sposa, in maglietta color porpora con la scritta The Hen, casomai non fosse abbastanza chiaro il gallineggiamento, minishorts porpora su fuseaux neri e cappello da cowboy, sormontato da un'improbabile papalina di lamè. Porpora, va da sé. Sobria, ecco. Comunque hanno parlato per dieci-ore-dieci, bevuto per dieci-ore-dieci, e si son rifatte il trucco sempre per le solite dieci-ore-dieci, strato dopo strato. Mi ci vedevo, col bisturi in mano, alla ricerca del volto perduto, soffocato sotto i chili di fondotinta.
Comunque son sbarcate dall'aereo più fresche di me, segno che l'età non è una opinione. E mentre io arrancavo verso l'albergo, cercando di resistere ai colpi di sonno, loro già veleggiavano verso i primi casino. Cinguettanti.
Le ragazze sfoggiavano tutte la stessa maglietta, rosa come ogni Hen Do che si rispetti impone, celebrativa dell'evento. Tranne lei, la sposa, in maglietta color porpora con la scritta The Hen, casomai non fosse abbastanza chiaro il gallineggiamento, minishorts porpora su fuseaux neri e cappello da cowboy, sormontato da un'improbabile papalina di lamè. Porpora, va da sé. Sobria, ecco. Comunque hanno parlato per dieci-ore-dieci, bevuto per dieci-ore-dieci, e si son rifatte il trucco sempre per le solite dieci-ore-dieci, strato dopo strato. Mi ci vedevo, col bisturi in mano, alla ricerca del volto perduto, soffocato sotto i chili di fondotinta.
Comunque son sbarcate dall'aereo più fresche di me, segno che l'età non è una opinione. E mentre io arrancavo verso l'albergo, cercando di resistere ai colpi di sonno, loro già veleggiavano verso i primi casino. Cinguettanti.
mercoledì 12 maggio 2010
Che non è che son stufa...
...della pioggia. Tanto anche se mi lamento non cambia proprio niente, quindi tanto vale abbozzare e rassegnarsi a imbarcar acqua nella scarpine che, per dovere di calendario, hanno ormai sostituito stivali e affini. E' che son certa che di là farà caldo e io non ci ho l'uzzolo di tirar fuori magliette, canottiere e infradito. Sono gli anacronismi che mi fregano. Anameteorismi, forse. Comunque lo so che la valigia la preparo domani notte. Ho la scusa che il viaggio è lungo e dormo in aereo. E non so nemmeno che libri portarmi. Disorganizzata, al solito.
domenica 9 maggio 2010
Résumé
Ovvero, riassunto delle puntate precedenti. Che non ho scritto. Praticamente mi hanno immersa in un frullatore e han girato la manopola alla massima velocità. Non so dove sono stata, cosa ho fatto e perché. La mia sola certezza è che ho fatto cose, visto gente, in svariati luoghi. E altrettanto mi tocca fare nei prossimi giorni. Che in effetti sto leggendo che il vulcano quello là, quello che pronunciarlo non se ne parla ma anche scriverlo è una bella sfida, è tornato a far le bizze. E se continuasse per un po', magari qualcosa potrebbe anche saltare. Comunque nel frattempo nessuno mi ha comprato casa a mia insaputa, e questa potrebbe essere una notizia. In compenso ho visto Departures e a me è piaciuto proprio. Quel bel mix riconciliante che mi ha rimandato a casa col sorriso sulle labbra. Se il vulcano non mi ferma, finisce che mi perdo Shutter Island, ma non ne ho letto meraviglie, a dire il vero. Se il vulcano, invece, mi ferma vado alla Fiera del Libro, che ci ho lì l'accredito e mi rompe da morire buttarlo anche quest'anno alle ortiche. E poi Ibs fa una cosa stile Amazon e io non vedo l'ora di metterci su le mani. Quindi faccio il tifo per vulcano. Mi sembra il minimo.
Comunque ha smesso di piovere, oggi.
E anche questa è una buona notizia.
E anche questa è una buona notizia.
E poi è la festa della mamma.
Così, per dire.
Tanto dopo l'asilo non glie le insegnano più le poesie.
E non gli fanno nemmeno scrivere i pensierini, ecco.
Tanto dopo l'asilo non glie le insegnano più le poesie.
E non gli fanno nemmeno scrivere i pensierini, ecco.
lunedì 3 maggio 2010
In effetti
... mica siamo la Grecia noi e in fondo nemmeno la Spagna e il Portogallo. Che sarebbe un po' complesso riparlar di austerity, però saremmo almeno obbligati a farlo. E non siamo neppure l'America, che tra marea nera e autobombe ha le sue belle gatte da pelare [e chiedo scusa alle gatte]. No, in effetti che altri problemi ha questo disgraziato Paese, perchè una futilissima partita non debba e non possa diventare caso politico? Mica ci saranno altre priorità, voglio dire. Evidentemente oltre alle teste, pure le agende vuote hanno. Manco un appuntamento dal dentista, che magari gli passerebbe la voglia di parlare. Per dire eh.
Paradossi
E tu che ne pensi?
Chissà se quei 40 che in poche ore hanno commentato l'articolo del Corriere si sono posti il problema. Vabbè. Comunque un'altra domenica sui campi di gara sotto l'acqua non mi ci voleva. Perché mi passa tutta la poesia e son lì che desidero che tutto semplicemente abbia fine, perché non ne posso più del freddo che si annida dentro le ossa e dentro i pensieri. Anche il giornale mi sembra solo un tristissimo dejà-vu, come un'eterna litania che si ripete e uno si domanda per l'ennesima e inutilissima volta quando mai arriveremo a capire che i badili ce li abbiamo in mano già da un pezzo. E comunque, sì, mamma, parto tra 11 giorni, sì mamma devo proprio andare, sì mamma, e che ci posso fare? Anche se mi vien male al solo pensiero dei controlli di sicurezzi. 'Tacci loro.
sabato 1 maggio 2010
Lavorativa.mente
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