mercoledì 30 gennaio 2013

Subumanità

Reduce da una influenza che mi ha fatto trascinare dal divano al letto e viceversa per quattro giorni, cerco di uscire dalla fase subumana nella quale sono caduta. Vagolo ancora in tuta, l'unico abbigliamento alternativo al pigiama che mi sono concessa in questi giorni, ma per lo meno i capelli hanno ripreso forma e anche io sto in posizione verticale dritta. Un successone.
In questi giorni, alla fine, ho dormito tanto, lavorato poco o nulla, e fatto poco o nulla di qualunque altra cosa. Sono a buon punto di un romanzo di Lansdale, ma visto che adoro Hap e Leonard credo che valgano come le coccole che quegli insensibili degli umani che condividono con me questa casa mi hanno lesinato per timore del contagio. I felini dell'influenza se ne fregano, quindi hanno diviso con gioia estrema il piumone con me.
In compenso in bilancio è negativissimo: mi son persa tre giorni a Londra che saran stati anche un bell'impegno, ma ci tenevo; gli umani cuordipietrachevivonoinquestacasa hanno fatto ricorso a tutte le scorte che avevo amorevolmente stipato nel congelatore, lasciandomi priva di risorse per le emergenze; ho definitivamente saltato la proiezione di Amour di Haneke al cineforum.
Esiamosoloamercoledì.

venerdì 25 gennaio 2013

Sbattere nelle porte

Io le vedevo, tutte quelle persone, ma loro non vedevano me. . Vedevano la mano che allungava i soldi. Vedevano la mano che teneva aperta la porta. Vedevano il piede che si provava la scarpa. Vedevano la bocca da cui uscivano le parole. Vedevano i capelli quando me li tagliavano. Ma non vedevano me. La donna che non c'era. La donna che non aveva niente che non andava. La donna che era a posto. La donna che sbatteva nelle porte.
Sentivano l'odore dell'alco. Ah. Vedevano i lividi. Ah, allora. Vedevano i bernoccoli. Ah, be', allora, poveretta. Credevano al loro naso, ma non ai loro occhi. 

Non so se sia davvero una casualità, visto che un po' la fissa dell'Irlanda per la prossima estate ce l'ho. Fatt'è che i primi due libri dell'anno sono di due autori irlandesi.
Ho finito ieri La donna che sbatteva nelle porte, di Roddy Doyle, con l'amara consapevolezza di averlo letto fuori tempo.
Fuori tempo perché non è certo una novità. Fuori tempo perché credo che lo spettacolo della Massironi tratto da questo romanzo non sia più in scena. Fuori tempo perché l'8 marzo è ancora lontano.
Come mi è capitato di dire su altri libri del genere e di genere, è difficile definirlo bello o brutto. Perché come fai a dire che è bello un libro che ha come oggetto e soggetto la violenza domestica? E come fai a dire che è brutto, senza sensi di colpa?
Asetticamente, non lo trovo il migliore dei lavori di Doyle. Neanche The Commitments lo era, però lì lo ha salvato il film, e poi c'era la colonna sonora. Paddy Clarke, ah ah ah! è forse il migliore, se pure perfettamente inserito in quel filone di letteratura irlandese in cui alcol-povertà-religione-famiglia formano un tutt'uno nel quale i protagonisti prima o poi affogano, salvo venirne fuori grazie alla forza della disperazione.
Qui l'humus è lo stesso, ma il fil rouge che si dipana è quello della violenza e dell'invisibilità della violenza per chi non la vuole, non la sa o non la può vedere. Doloroso, ecco. Ma troppo diligente per scavare davvero nell'anima.

giovedì 24 gennaio 2013

Onee, Twoo, Three




Dunque. In queste ore sono bombardata da richieste di amici-colleghi-conoscenti perché mi iscriva o mi connetta con loro su Twoo. Io non è che sappia esattamente cos'è Twoo. A occhio e croce mi sembra un social nel social. Un po' come è stato a suo tempo BranchOut, che credo sia ormai tramontato. C'è stata anche la fase Klout, che mi ricordava un po' il celodurismo leghista, della serie io ce l'ho più lungo alto di te (il livello di influenza o come si dice in italiano). Detto questo, e fermo restando che ognuno si trastulla come meglio gli aggrada, mi domando solo una cosa: se io mi connetto via Twoo agli stessi contatti che ho su Facebook, che poi sono in parte gli stessi che ho su LinkedIn e in parte quelli che ho su Twitter, prendendo per buono il fatto che ognuno di questi socialcosi è interconnesso agli altri,  alla fine la sensazione è che più che propagare le minchiate stupidaggini che condivido online, finirei per ripeterle a mo' di eco fastidiosa. In una spirale autorefenziale, tristemente ombelicale. (Come dicono qui a Milano, ma anche no, grazie)

p.s. Non ho parlato degli endorsement di LinkedIn per carità di patria. Sapevatelo. 


mercoledì 23 gennaio 2013

Ragazzo solo dove vai, perché tanto dolore

Da perfetta cialtrona quale sono, odio la cialtroneria altrui. E mi innervosisco.
Quindi lo scrivo qui, bello chiaro: NO, quella cosa orrenda che è la versione in italiano di Space Oddity, riscritta da Mogol e ricantata sempre dal Duca, non è stata fatta apposta per il film di Bernardo Bertolucci.
Mogol lo scempio lo aveva già fatto, nel 1969. E lo so bene. Perché io e mio fratello ci siam fatti matte risate con quella storia degli occhi bianchi nella notte, fanali bianchi nella notte. Ed eravamo piccoli. Cioè sufficientemente adolescenti da capire l'abissale differenza tra Major Tom e quello che ha perduto certamente un grande amore.
Tant'è.
Nel film ci stava bene, però. Cioè, la scena dei due fratelli che ballano in quella cantina è forse quella che mi ha fatto venire un po' di groppo in gola, visto che io son di quelle che si commuovono al cinema.
Per il resto, Io e Te di Bertolucci non è esattamente un capolavoro. Non male, scorre via. Ma scorre, ecco. Non scava dentro come forse avrebbe potuto.
Devo dire che il non indimenticabile film nasce da un altrettanto non indimenticabile libro. Perché è vero che io non ho una passione per Ammaniti, ma il suo libro lo ho classificato nei bruttini-anziché-no. Per essere generosa. 

Io e Te

domenica 20 gennaio 2013

Valgono anche quelli visti in TV?

Lei va in cerca di guai, mio giovane amico. Essere troppo onesti in un mondo disonesto è come spennare un pollo controvento: si finisce sempre con la bocca piena di penne.

Sai, mi hanno chiesto di fare le cose più strane, ma mai di smettere di fumare.



Irma La Dolce 


E non ha tanta importanza sapere quante volte lo ho già visto, vero? Però lei, la Shirley MacLaine, è semplicemente deliziosa. Lui, Jack Lemmon, ha la sua solita faccia di gomma. E Billy Wilder è un maestro. Ho detto. E adesso torno a vedermelo. 

sabato 19 gennaio 2013

A futura memoria

Non dovevo scaricare Ruzzle. Sapevolo.
E comunque lo so da me che la scusa delle sfide con le mostre figlie è patetica e banale.

venerdì 18 gennaio 2013

Tanto lo ripeto ogni anno

Ieri era Sant'Antonio. Quello del porcello. L'Abate. Non quello di Padova, cioè.
E noi abbiamo fatto il falò. (con le salamelle, il gorgonzola sul pane caldo, il vino, le chiacchiere, gli amici)
Sapevatelo.


mercoledì 16 gennaio 2013

Uma Rapariga Loira

Quando ha girato questo film, il secondo del nuovo ciclo del cineforum, di anni ne aveva 101. Ora ne ha 105 e , oltre ad aver già messo nel cassetto il suo film postumo, ne sta girando un altro. Ci son tanti modi per entrare nella leggenda, e la prolificità, oltre alla longevità, di Manoel De Oliveria sarebbero di per sé già sufficienti per consegnarlo alla storia.
Ora io non so se questo Singularidades de uma Rapariga Loira - Singolarità di una Ragazza Bionda, sia un capolavoro. Non l'ho apprezzato moltissimo, devo dire, ma non essendo io notoria per avere uno spirito critico particolare nei confronti dei film non significa molto. Il fatto però che i 64 minuti di proiezione mi abbiano lasciato con una serie di perplessità e domande senza risposta vuol dire che non si tratta di un film risolutivo. Il riassunto in sé è semplice, anche se rischia di ridurre la storia a un piccolo feuilleton: lui che si innamora di lei vedendola alla finestra, lo zio cattivo che si oppone al matrimonio, lui che va a Capo Verde per guadagnarsi da vivere quel che basta per sposarla, la truffa dell'amico, lo zio che diventa buono e il colpo di scena finale. Eh. Sembra facile. Ma come la mettiamo con la recitazione così fuori riga, con i personaggi così fuori dal tempo, in un tempo che però diventa presente? Come la mettiamo con i sentimenti e i pensieri ottocenteschi che raccontano una passione che sullo schermo si congela nelle espressioni e nei toni di voce?
Ci deve per forza essere qualcosa di più. E quel qualcosa, credo, sta tutto nella fotografia e nelle inquadrature. In quel voler vedere tutto sempre dentro una cornice: di una porta, di una finestra, di un quadro. Tutto si svolge mediato da una cornice che rende lo spettatore ancor più spettatore di qualcosa che viene raccontato e proprio per questo motivo sembra diventare irreale.
Bella l'immobile Lisbona, che vive solo attraverso il rumore di strada. Belle le livide stanze, dentro le quali si muovono i personaggi.
Basta così.
Per il resto non lo rivedrei. 


martedì 15 gennaio 2013

Non ero una food blogger


Né la voglio diventare, nonostante ci sian dei giorni che casa mia diventa una fucina di sperimentazione, soprattutto quando alle figlie, non più abbastanza piccole per essere tenute lontane dai fornelli, piglia l’uzzolo di tentare qualcosa di nuovo.
La questione del cibo e della cucina mi è venuta in mente sentendo ieri per radio Luca Bottura, che nella rassegna stampa di Lateral si è messo a far la recensione delle riviste di cucina. Compresa quella di cui la Clerici è direttora. – Oddio la Clerici direttora, ma vogliamo parlarne? -.
A sua volta la rassegna di Bottura mi ha offerto il destro per appuntarmi il primo libro letto quest’anno. Che non è una novità letteraria, né un libro cult. Semplicemente era tra i non-ancora-letti- che-prima-o-poi-avrei-voluto-leggere.
Così ho preso in mano Ehi Prof! Di Frank McCourt, che meritava di non essere messo nel dimenticatoio dopo quel capolavoro che per me è stato Le ceneri di Angela.
Il riassunto lo risparmio, anche perché credo che Wikipedia lo abbia fatto meglio di me, senza troppo spoiling. Però è un libro sulla scuola che vale la pena leggere, pur fatte le debite differenze tra il sistema educativo americano e il nostro.
Oltre Barbiana, oltre Pennac, ben oltre quei modelli strappacore e strappalacrime in stile Attimo Fuggente o Monalisa’s Smile, McCourt ci mette la giusta dose di ironia e disincanto, con quel po’ di autocritica che trasforma l’apparente autoincensamento in una ammissione di paraculaggine.
Il punto cruciale?
Questo.
Così si capisce tutta la manfrina sulla cucina. 

David legge una ricetta de coq au vin. Attacca con voce inespressiva ed esitante ma a poco a poco scopre ingredienti di cui non ha mai sentito parlare e sembra sempre più interessato.
David, adesso tu e tutta la classe prenderete nota della data e dell’ora in cui nell’aula 205 del Liceo Stuyvesant hai declamato ai tuoi compagni la prima ricetta della tua vita. Dio solo sa dove ti porterà quest’avvenimento. Con ogni probabilità è la prima volta nella storia che una classe di scrittura creativa, o di inglese, si mette a leggere in aula delle ricette di cucina. David, avrai notato l’assenza l’assenza di applausi sfrenati: hai letto la ricetta come se fosse una pagina dell’elenco telefonico. Ma non disperare; ti sei addentrato in un territorio vergine. Quando ci torneremo sopra la prossima volta sono sicuro che darai alla ricetta il valore che merita. 

lunedì 14 gennaio 2013

Texas, ovvero da una parte all'altra del mondo in cinque giorni

Sono fortunata, mi dicono. Viaggio tanto. Vedo posti nuovi. Lontani, spesso. Ogni volta che dico agli amici che parto, qualcuno chiede di poter venire. Pure le figlie, ecco. E in fondo è vero. Questo è sicuramente un aspetto bello del mio lavoro. Sarei ipocrita a negarlo. Solo che tra andare altrove per lavorare e vederlo, quell'altrove, ci passa sempre la grande differenze delle ore trascorse in volo, quelle trascorse in aeroporto, quelle trascorse chiusi in un convention center, in genere con l'aria condizionata a manetta, poco importa la temperatura esterna.
Prendi il Texas, ad esempio. Partenza lunedì mattina da Milano. Arrivo ad Austin a mezzanotte. Martedì, mercoledì, giovedì blindata in convention center. Venerdì mattina all'alba si riparte. Restano le sere, tre. E quei ritagli di tempo che avanzano qui e là. E che si cerca di sfruttare come si può, più che si può, anche quando il jet lag ti riempie gli occhi di spilli. Comunque, due o tre cose mica male me le son godute. La serata all'Austin City Limits, tanto per cominciare, che faceva parte del programma di intrattenimento. E a parte i Linkin Park e Camp Freddy, uno si rende conto che Dave Navarro ci ha sempre il suo perché. E comunque le serate revival da noi finiscono sempre con Tintarella di Luna. Loro vanno di Enter Mr Sandman. E ho detto tutto.


Poi le empanadas, per non parlare di un meraviglioso barbecue o ancora dei pomodori verdi fritti. Che dopo la musica, anche la cucina ha la sua da dire. A dire il vero non ho idea se i pomodori verdi fritti siano realmente texani. La salsina che li accompagnava però si. Puro Tex-Mex. Hot & Spicy.


Ho poi scoperto che i cowboy ci sono ancora e girano a cavallo per la città, tranquilli tra macchine, moto e risciò. Non so abbiano anche la pistola nella fondina. Quello che, carino, vedendo il mio sguardo basito si è fermato per farsi fotografare credo non l'avesse. Ma mai dire mai quando si parla di Stati Uniti.
Quanto alle moto, confesso che vedere una Ducati posteggiata fianco a fianco con una Harley mi ha fatto un certo effetto.


Poi di nuovo musica, con l'immancabile puntata al Waterloo per acquisti quasi introvabili e musica ovunque, con i pub (forse una volta erano saloon?) che si rilanciano canzoni da una parte all'altra della strada. E i musicisti con la chitarra cantano i Pearl Jam.


Il periodo era quello prenatalizio, per cui, davanti allo State Capitol, troneggiavano sia l'albero di Natale, sia la Menorah ebraica. La tradizione, dicono, è che chi ha voglia di cantare le canzoni di Natale si possa piazzare lì davanti e farlo, senza problemi. Più che uno Speakers' Corner un Singers' Corner. Fatt'è che il 12.12.12. (questo era il giorno) ci son passata giusto in tempo per trovare un bel gruppo di donne e uomini tutti intenti a cantare i Twelve Days of Christmas con grande convinzione. Naturalmente, il pegno per la foto di rito è stato che m mettessi a cantare con loro. Ai Three french hens, two turtle doves and a partidge in pear tree mi ero già persa.




Il resto son solo curiosità locali. Come i segnali sui tombini. Qui ci son rane e gechi - o forse son lucertole? Carino pensare che a San Francisco le stesse placche son decorate con i granchi. Questione di fauna locale, evidentemente.


Come i cartelli fuori dai pub - sempre quelli che forse una volta erano saloon. 


O la cartellonistica stradale.


E poi, in un cielo terso che un dicembre milanese raramente ti offre, abbarbicati sui fili della luce, centinaia di uccelli. Tutti in fila, tutti immobili. Minacciosamente immobili. Solo il tempo di fotografarli e poi via. Che non avevo proprio voglia di scoprire se per caso Hichcock fosse tornato tra noi.








giovedì 10 gennaio 2013

Super Bowl



Cioè quella di pop corn che io e husband, probabilmente con buona parte della prole aggregata, ci prepariamo a far fuori stasera in vista dell'evento televisivo della stagione. Meglio di XFactor, cioè. Che non avendo nessun abbonamento a Sky o a laqualunquepremium, noi quello non lo vediamo comunque.
Però il faccia a faccia di MisterBi con Santoro e Travaglio non me lo voglio mica perdere. Dicono che danno 5 a 1 l'abbandono del campo. Quasi quasi una scommessina la farei.

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Avevo detto che non avrei rifatto di questo luogo uno sfogatoio, vero? Ma è obbligatorio essere coerenti anche qui?

mercoledì 9 gennaio 2013

Confucio, attribuito a

Alla fine, non è che abbia davvero voglia di fare di questo luogo lo sfogatoio che era. Anche perché poi di mezzo, in questi anni che son passati dal mio primo post sul mio primo blog, ci si son messi tutti i socialcosi e se davvero ne ho voglia finisco per blaterare lì.
Però paturnie a parte, ci sono i film, i libri, le musiche, i luoghi.
Quelle tracce che in fondo, lo so, mi spiace perdere.
Quindi, me le riappunto qui.

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Difficile è acciuffare gatto nero in stanza buia. Soprattutto se il gatto nero non c'è… Confucio, attribuito a



Primo film dell'anno, ieri sera, al Cineforum. Cioè, primo film dell'anno al cineforum, ché altri ne ho visti in tv e in Dvd, ma non contano. Siam partiti con Soldini e Il Comandante e la Cicogna. Conciliante, per lo meno per me, che ho sempre questa tendenza a invaghirmi degli sfigati, meglio se un po' fuori dagli schemi.
Poi lui, si Mastrandrea, mi piace, e lei, la Rohrwacher, pure, e comunque il ruolo dell'impacciata le sta proprio cucito addosso. A dire il vero è difficile trovare qualcuno fuori ruolo nel film, incluso Luca Zingaretti, che ci ho messo un po' a rendermi conto che era lui (va bene la sinossi l'ho letta dopo). E comunque l'alternativa era Berlusconi dalla Gruber. Ci ho pensato, a fine film, se fosse davvero necessario far parlare le statue. In fondo i loro sguardi, se pur immobili, con quelle inquadrature dall'alto e poi frontali, dicevan già molto così. Una concessione al didascalico forse un po' superflua, ma lo dico io che ho dovuto aspettare la scena del risveglio notturno del figlio per essere davvero certa che la Gerini fosse il fantasma. E ho detto tutto.

p.s. volevo fare un po' quella che se la tira, perché ieri mi era venuto in mente Orazio e quel castigat ridendo mores imparato a scuola e mai utilizzato credo in vita mia. Ma non ci stava, nelle righe qui sopra. Però mi sembrava brutto sprecarlo, soprattutto dopo che lo avevo spolverato ben bene.

Il ritorno [forse]

Che io sono una nostalgica. E dopo un po' le cose che erano mi mancano. Come questo spazio. Come un altrove che non c'è. Solo che non sapevo più che farci. Sempre che avessi o abbia qualcosa da farci.
Così do aria alle stanze. Tanto per cominciare.
Ma tanto comincio tra poco. Promesso.