Non è che io abbia interesse alcuno di unirmi al coro delle geremiadi. Che già ieri ero sull'orlo dell'intolleranza glicemica al duemillesimo Ciao Mike sventolato su Facebook o su Friendfeed o nell'altra casa. Poi, per carità, ognuno ha diritto di esprimere ciò che gli pare, e se alla fine è semplicemente voglia di star nel coro o di dire c'ero anch'io, chi son io per contestarla. Io finisco nell'incatenarmi nei ricordi. Che son quelli personali. Mica quelli collettivi del giovedì sera davanti a Rischiatutto, che credo di aver vissuto come tanti, come molti, come [quasi] tutti. Così mi è tornata in mente la mia maestra delle elementari. La tremendissima maestra del corso A, l'ultimo rimasto solo femminile in quel lontano 1968. Il corso B era solo maschile, mentre gli altri già affrontavano la sperimentazione delle classi miste e la rivoluzione dell'insiemistica, mentre noi ci barcamenavamo con le tabelline. Tradizionalissima, la mia maestra, pretendeva il saluto in piedi, ma non in coro. Il Buongiorno signora maestra toccava alla capoclasse, nominata a rotazione; le altre, semplicemente, abbassavano rispettose il capo. Ci insegnava la sillabazione col solfeggio, le preghiere in latino, le poesie a memoria, pretendeva il fiocco inamidato e ci sfiniva coi dettati. Ci riempiva i quaderni di svolazzanti dieci e lode, magari seguiti da imbarazzanti zero spaccati. Col tempo mi sono però resa conto di quanto fosse rivoluzionaria, malgrado le apparenze. In un'epoca in cui la geografia era ancora fatta di monti, laghi e fiumi, lei già ci parlava di territorio. Già, adesso è un po' più figo dire terroir. Comunque di ogni regione noi studiavamo vini, formaggi, salumi, produzioni tipiche e tradizioni artigianali. In un'epoca in cui l'insegnamento era ancora standardizzato, e chi non ce la faceva era semplicemente chi non riusciva a stare al passo, lei credeva nella valorizzazione dei talenti. In classe avevamo la poetessa, l'artista, la scrittrice, la musicista, l'atleta e la ballerina. E le nostre prodezze erano esposte in spazi che lei ricavava sugli scaffali, in tasconi appesi al muro, negli angoli dell'aula. In un'epoca in cui il potere assoluto era in mano a chi stava in cattedra, lei già ci educava al confronto, all'onestà e al rigore. Correggevamo i quaderni delle compagne e assegnavamo il voto all'esercizio svolto, che lei poi confermava o smentiva, spiegando ogni volta il perchè a chi lo aveva fatto e a chi lo aveva valutato. Non concepiva una perdita di tempo come l'intervallo, che ci faceva trascorrere comunque con passatempi istruttivi, o così li riteneva lei. Come il Rischiatutto, appunto. Avevamo domande di storia, di geografia, di matematica, grammatica, musica e religione. Valevano un punto, due, tre, fino a cinque.
Lei era il nostro Mike, noi avremmo dato di tutto per essere le sue Massimo Inardi.
già... la mia ci faceva fare le gare di tabelline... vinceva solo il primo classificato.
RispondiEliminaNella nostra classe c'era anche sua figlia, la più bistrattata di tutte.
La mia maestra era di una severità inaudita ma l'amavamo tutti indistintamente.
Ed è l'unica dei miei insegnanti (e non sono stati pochi) di cui ricordi nome e cogome!
ehehehe anche tu le gare di tabelline! Noi anche quelle di calcolo mentale. Comunque quando è morta la mia maestra, un paio di anni fa, ci siamo ritrovate in tante al suo funerale. siamo state la sua ultima classe. dopo la quinta andò in pensione e devo dire che faceva strano vedere tante ex bambine riunite insieme solo per salutarla un'ultima volta.
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