La mia prima volta a Ginevra è stata, come al solito, per lavoro. Non che mi abbia entusiasmato, devo dire. L'attenuante che le do è che non si può vedere tutto in una volta e che sicuramente mi son persa le cose migliori, anche se una passeggiata nella città vecchia non me la son lasciata mancare. Però la mostra en plen air sul lungo lago di vignette sui temi dei diritti umani, delle divergenze nord-sud del mondo, dell'ecologia, mi è piaciuta. Assai. Per il resto, non mi son spellata le mani, ecco. La stazione mi è parsa un po' tristanzuola
per una città che si dà tutte quelle arie e il traffico assomiglia a quello belga. Il che è tutto dire. In realtà, mi ha incuriosito molto di più passare in treno per Montreux, altro posto dove non sono mai stata. Sarà per quella storia dei Deep Purple e del fumo sull'acqua. Sarà per il Festival. Non so. Però sarei scesa volentieri, se non fosse che ero troppo stanca e comunque volevo tornare a casa.
In compenso, la cena sociale nel ristorante Edelweiss, con tanto di suonatori di corno, di cucchiai e di campane me la sarei anche risparmiata. Soprattutto perché in un locale a densità umana uguale a quella del mercato di Calcutta cenare in pieno giugno a base di fonduta cinese, fonduta al formaggio e fonduta di cioccolato vuol dire mettere a rischio arterie, stomaco e cellule sudorifere. Però ero contenta. Di fronte a me sedeva il collega greco. Questa volta sarebbe toccato a lui. Mors tua vita mea, sorry darling. E invece no. No. Al perfido albionico alla mia destra non gli è parso vero. Finiti i convenevoli è partito all'attacco: "Ssssoooooo.... Che ne pensi della copertina dell'Economist della settimana scorsa?". Il greco, di fronte a me, l'ho visto sorridere malignamente, mentre intingeva lo spiedino nel brodo. Tra sfigati ci si capisce al volo. Io avevo volato troppo presto. E lui, infame come Franti, sorrideva.
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