Ovvero: il florilegio del venerdì
Nella mia incoerenza, ben consapevole che anche il mio passaggio alla lettura digitale non contribuisce al benessere dei librai, io le librerie le amo.
Anzi, amo le librerie e amo i librai. Più o meno incondizionatamente.
Riesco ad amare persino le librerie di catena, che siano italiane, inglesi o americane poco importa.
Le amo grandi e spaziose, ma anche piccole e sovraffollate. Ordinatissime o piene di ninnoli. Anche un po’ vissute. Come Flourish & Blotts (Il Ghirigoro, in italiano) nei libri di Harry Potter. Oppure ultramoderne.
E amo i librai dicevo.
Amo la mia libraia, che anche se sa che la tradisco con un Kindle passa comunque tempo a parlare di libri di con me.
Amo i librai vecchio stampo e quelli modernisti.
Per questo i loro blog mi attraggono. Perché sono pieni di uno humour sottile e di quegli spunti di amarezza di chi vede messo in discussione il suo lavoro.
E su questo punto io mi assolvo un po’.
Considerato quanto è ancora risibile la percentuale di lettori che leggono in digitale (i dati presentati al Salone del Libro dicono il 3 per cento del totale), credo che il problema sia più la logica del bestseller, che ti fa infilare il libro must del momento nel carrello insieme al caciocavallo il sabato mattina, tanto vien via con lo sconto e che scoraggia le scelte critiche e soprattutto la scoperta.
L’importante è che il nome noto venda. Il resto è accessorio.
[a proposito, qualcuno ha mai letto i gialli delle case di ringhiera di Francesco Recami? Mi è stato consigliato ma non ho ancora preso nulla. Pubblica con Sellerio]
In questo sproloquio, quasi mi dimenticavo la faccenda del florilegio.
E per farmi perdonare le settimane di assenza, non uno ma ben tre blog di librai. Si sorride eh!