Il florilegio-del-venerdì-che-io-scrivo-nel-fine-settimana è in tema con la stagione. O forse no.
Perché parla sì di viaggi, ma di viaggi brevi. Ed è un po' una manna per chi ha poco tempo, oppure, per chi, come me, pur trovandosi spesso in viaggio per motivi di lavoro, di tempo per vedere o conoscere le città ne ha proprio poco.
E allora, inevitabilmente, scatta la selezione. Con tutto il rammarico che l'operazione comporta.
Ecco, questo blog - mi spiace è in inglese, ma non ne conosco un altro simile o altrettanto ricco in italiano - è proprio quello che serve.
Il titolo è di per sè il programma. Avventura in 48 ore. Ovvero: due giorni di tempo per assaporare qualcosa di una città.
Lo schema è semplice: cosa vedere, mangiare e bere, come girare, dove dormire, quanto costa, come orientarsi, impressioni conclusive. Semplice ed efficace direi. Numerose le città di cui sono già state realizzate le guide: si va da Reykjavik a Roma, da Toronto a Mosca, da Barcellona a Brooklyn.
Il sito contiene anche directory utili per l'organizzazione del viaggio, inclusi i siti di prenotazione di voli, hotel e treni.
Devo dire che l'ultima guida è stata pubblicata un anno fa. Non so perciò se l'autore continui ad aggiornare il blog o si sia fermato. Quel che c'è è comunque una buona risorsa.
domenica 24 agosto 2014
martedì 19 agosto 2014
Fryderyk Franciszek
Varsavia ci ha accolti con un vento gelido che taglia il fiato e sa già di autunno. Che metterebbe anche di cattivo umore se non fosse che in Italia, a Gressoney, c'erano 3,5 gradi ilùgiorno di Ferragosto.
In realtà, è bastato ricorrere al tranquillizzante abbigliamento a cipolla - sopra la maglia un'altra maglia, sopra la seconda maglia il pile e alla mala parata c'è sempre l'antivento di emergenza - per dar via alle camminate.
Perchè anche qui si cammina. E tanto pure.
Esserci arrivati nel fine settimana, ci ha regalato però una magia: il concerto domenicale nel Parco Reale Łazienki [a proposito, la Ł si legge U, è una delle poche cose che ho imparato in dieci giorni] proprio ai piedi del monumento a Chopin.
Già il Parco è una meraviglia ed è stato piacevolissimo camminare tra l'Orangerie e il Castello sull'acqua, ma è stato ancor più bello, poco prima di mezzogiorno, vedere frotte di persone di tutte le provenienze, di tutte le età, di tutti gli stili, arrivare nei pressi del monumento e cercare il proprio posto: su una panchina, sul bordo della fontana, semplicemente sedute sul prato.
Un programma di un'ora, comprendente Valzer, Mazurke e naturalmente le Polonaises. A noi è "toccata" una giovane pianista, vincitrice di diversi concorsi internazionali. Nel pomeriggio la replica, in questo caso con un altro programma e un pianista giapponese.
Il resto della città è tutta Storia. Quella con la S maiuscola, ché per arrivare a Stare Miasto si passa davanti a memoriali o installazioni che ricordano Solidarność, il Cardinale Wyszyński, l'insurrezione del 1944.
E poi si arriva alla Piazza del Mercato, Rynek Starego Miasta, con quelle foto che ricordano come fu letteralmente rasa al suolo e poi ricostruita, seguendo le tracce di quadri e fotografie.
E' tutto un viaggio nella storia il passeggiare per Varsavia.
Poi arriva il tramonto e le case diventano rosa. E allora non c'è storia che tenga. E' tutto, semplicemente, bello.
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sabato 16 agosto 2014
Polonaises & Florilegio
Metà vacanza è ormai scavallata e domani ci trasferiamo a Varsavia.
Non ci siamo fatti mancare (quasi) niente in questi giorni e ieri abbiamo coronato la nostra settimana con la visita alle miniere di sale di Wielicza.
Davvero interessanti, soprattutto se si pensa che rappresentano un compendio di centinaia e centinaia di anni di lavoro dell'uomo. E soprattutto se non le si paragona alle Grotte di Postumia, che, essendo per l'appunto grotte, con le miniere per l'estrazione del sale hanno poco a che vedere. Ma tant'è: i commentatori di TripAdvisor ogni tanto hanno visioni bizzarre.
A noi comunque sono piaciute e i ragazzi si sono divertiti da matti. Credo che sia più che sufficiente.
Io e Laura abbiamo salutato le cameriere del caffè in piazza, ormai espertissime del mio caffè macchiato freddo e pazientissime insegnanti di pronuncia. Tanto pazienti da arrischiarsi a insegnarci uno scioglilingua che naturalmente ho già dimenticato.
E poi i souvenir. Potevo non arricchire la mia collezione di Matrioske iniziata da bambina quando la Russia era ancora URSS?
Mais non, naturellement! E questa volta ho pure esagerato. Una tradizionale, una tondeggiante, e una Polski Babuska. Crepi l'avarizia!
Essendo venerdì, mi son tenuta da parte un blog che - non a caso - parla di Italia e Polonia.
Interessante soprattutto per chi dovesse pensare di trasferirsi da queste parti.
Il blog si chiama QuiPoloniaeItalia e tra i post consiglio senza dubbio questo del 2011. Un po' datato ma attualissimo: la cosa più raccapricciante cui abbiamo assistito è stata una esibizione di un duo italo-polacco, italiano lui, polacca lei, iniziata con Nostalgia Canaglia e proseguita con La città e Puricinella, rigorosamente cantate nei due idiomi. Ci siamo allontanati prima di scoprire se il Trottolino Amoroso avrebbe fatto parte del programma, inseguiti, tuttavia, dalle note di Felicità. E ho detto tutto.
Non ci siamo fatti mancare (quasi) niente in questi giorni e ieri abbiamo coronato la nostra settimana con la visita alle miniere di sale di Wielicza.
Davvero interessanti, soprattutto se si pensa che rappresentano un compendio di centinaia e centinaia di anni di lavoro dell'uomo. E soprattutto se non le si paragona alle Grotte di Postumia, che, essendo per l'appunto grotte, con le miniere per l'estrazione del sale hanno poco a che vedere. Ma tant'è: i commentatori di TripAdvisor ogni tanto hanno visioni bizzarre.
A noi comunque sono piaciute e i ragazzi si sono divertiti da matti. Credo che sia più che sufficiente.
Io e Laura abbiamo salutato le cameriere del caffè in piazza, ormai espertissime del mio caffè macchiato freddo e pazientissime insegnanti di pronuncia. Tanto pazienti da arrischiarsi a insegnarci uno scioglilingua che naturalmente ho già dimenticato.
E poi i souvenir. Potevo non arricchire la mia collezione di Matrioske iniziata da bambina quando la Russia era ancora URSS?
Mais non, naturellement! E questa volta ho pure esagerato. Una tradizionale, una tondeggiante, e una Polski Babuska. Crepi l'avarizia!
Essendo venerdì, mi son tenuta da parte un blog che - non a caso - parla di Italia e Polonia.
Interessante soprattutto per chi dovesse pensare di trasferirsi da queste parti.
Il blog si chiama QuiPoloniaeItalia e tra i post consiglio senza dubbio questo del 2011. Un po' datato ma attualissimo: la cosa più raccapricciante cui abbiamo assistito è stata una esibizione di un duo italo-polacco, italiano lui, polacca lei, iniziata con Nostalgia Canaglia e proseguita con La città e Puricinella, rigorosamente cantate nei due idiomi. Ci siamo allontanati prima di scoprire se il Trottolino Amoroso avrebbe fatto parte del programma, inseguiti, tuttavia, dalle note di Felicità. E ho detto tutto.
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giovedì 14 agosto 2014
Cripstak non abita più qui [..e nemmeno Petrectek]
Decidere di trascorrere le vacanze in Polonia, lo so, può sembrare strano. Soprattutto se queste sono le uniche settimane nell'anno in cui si può staccare un po' dai ritmi del quotidiano.
E probabilmente ancor più strana può sembrare l'idea di fermarsi una settimana intera a Cracovia.
Però, cercando informazioni mesi fa, ci siamo resi conto che c'è tanto da fare e vedere non solo in città, ma anche nei dintorni, cosicché abbiamo optato per un prolungamento del soggiorno.
Che dire? Cracovia è un piccolo gioiello, soprattutto in tutta la zona vecchia e centrale. Una festa, non solo per quella piazza e quella cattedrale che da sole valgono il viaggio, ma per le persone, il via vai, i rumori, i profumi, la musica.
Brulica Cracovia e davvero sembra non dormire mai.
Si gira a piedi, basta aver voglia di camminare un po', e si passa dal parco alla Vistola, dal fiume al Castello, dalla rocca al quartiere ebraico, così, quasi senza accorgersene.
E' una città tutto sommato facile: facile girare, facile mangiare, facile visitare. Il difficile è la lingua, va da sé, troppo piena di consonanti, propinate a mazzi come se non ci fosse un domani. Ma l'inglese qui è conosciuto. Altrimenti ci si intende a gesti, come nella notte dei tempi.
Lo street food qui è fatto di stinchi e spiedini, ma anche degli immancabili Pierogi, ravioli nel cui ripieno può esserci qualunque cosa: carne e spezie, spinaci, formaggio e patate, funghi, ma anche lamponi, cioccolato, fragole, pesche.
Il Castello, oltre alla più classica delle caverne dei draghi, conserva anche la Dama con l'Ermellino di Leonardo.
Un po' di coda per i biglietti, ma poi la visita è quasi privata. Quando siamo arrivati noi, di fatto eravamo gli unici visitatori nella stanza, senza alcun affanno sul tempo a disposizione.
E poi c'è la storia. Come si fa a venire qui e non andare a visitare la fabbrica di Oskar Schinder e i campi di Auschwitz e Birkenau?
Ci siamo andati anche noi e mi spiace essere scontata, ma non riesco a definire altro che "dolorosa ma doverosa" questa esperienza. Doverosa perché ritengo importante l'omaggio alle vittime di quell'orrore. Sul dolorosa credo non servano spiegazioni.
Ci sarebbe qualcosa da eccepire su alcuni connazionali che - nonostante il reiterato invito da parte delle guide a un comportamento rispettoso - passeggiavano tra le baracche trangugiando i loro tramezzini e lamentandosi del fatto che il giro, oltre che lungo, comprendesse anche una tappa alle latrine. Ma mi taccio per carità di patria. Ecco.
E probabilmente ancor più strana può sembrare l'idea di fermarsi una settimana intera a Cracovia.
Però, cercando informazioni mesi fa, ci siamo resi conto che c'è tanto da fare e vedere non solo in città, ma anche nei dintorni, cosicché abbiamo optato per un prolungamento del soggiorno.
Che dire? Cracovia è un piccolo gioiello, soprattutto in tutta la zona vecchia e centrale. Una festa, non solo per quella piazza e quella cattedrale che da sole valgono il viaggio, ma per le persone, il via vai, i rumori, i profumi, la musica.
Brulica Cracovia e davvero sembra non dormire mai.
Si gira a piedi, basta aver voglia di camminare un po', e si passa dal parco alla Vistola, dal fiume al Castello, dalla rocca al quartiere ebraico, così, quasi senza accorgersene.
E' una città tutto sommato facile: facile girare, facile mangiare, facile visitare. Il difficile è la lingua, va da sé, troppo piena di consonanti, propinate a mazzi come se non ci fosse un domani. Ma l'inglese qui è conosciuto. Altrimenti ci si intende a gesti, come nella notte dei tempi.
Lo street food qui è fatto di stinchi e spiedini, ma anche degli immancabili Pierogi, ravioli nel cui ripieno può esserci qualunque cosa: carne e spezie, spinaci, formaggio e patate, funghi, ma anche lamponi, cioccolato, fragole, pesche.
Il Castello, oltre alla più classica delle caverne dei draghi, conserva anche la Dama con l'Ermellino di Leonardo.
Un po' di coda per i biglietti, ma poi la visita è quasi privata. Quando siamo arrivati noi, di fatto eravamo gli unici visitatori nella stanza, senza alcun affanno sul tempo a disposizione.
E poi c'è la storia. Come si fa a venire qui e non andare a visitare la fabbrica di Oskar Schinder e i campi di Auschwitz e Birkenau?
Ci siamo andati anche noi e mi spiace essere scontata, ma non riesco a definire altro che "dolorosa ma doverosa" questa esperienza. Doverosa perché ritengo importante l'omaggio alle vittime di quell'orrore. Sul dolorosa credo non servano spiegazioni.
Ci sarebbe qualcosa da eccepire su alcuni connazionali che - nonostante il reiterato invito da parte delle guide a un comportamento rispettoso - passeggiavano tra le baracche trangugiando i loro tramezzini e lamentandosi del fatto che il giro, oltre che lungo, comprendesse anche una tappa alle latrine. Ma mi taccio per carità di patria. Ecco.
[e comunque continuo a domandarmi come possa un popolo che ha vissuto quell'orrore non comprendere l'enormità di ciò che sta facendo a Gaza]
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mercoledì 13 agosto 2014
Doveroso Tributo
Thank You for the smiles, for the laughs, for the thoughts
(di come procede questo nostro viaggio a Est parlerò poi. Ieri è stato un triste risveglio, non credo solo per me. Di quei risvegli con i lucciconi. Perché ha comunque fatto parte della mia vita, partendo da Mork & Mindy. Ed è inutile che sui social qualcuno stigmatizzi il ripetere il suo nano-nano o il Mi chiamo Mork e vengo da Ork, perché molti della mia generazione lo hanno amato e conosciuto così. Prima del professor Keating, prima di Good Morning Vietnam, prima dell'Uomo Bicentenario. Ed è da qui che nasce il senso di perdita. Perciò, caro Mork, farewell. E salutami John Belushi).
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domenica 10 agosto 2014
E io che la chiamavo Preßburg
Quando studiavo tedesco all'università era Preßburg e guai a sbagliare. Fatt'è che per me Bratislava era un nome e un rimpianto. Perché nei mesi che all'epoca trascorsi a Vienna per studio, sperando di concludere una tesi che poi ribaltai immediatamente al mio rientro in Italia, io a Bratislava non riuscii ad andare. Ci voleva un passaporto, che io non avevo. Ci voleva anche un visto. Che comunque non avrei ottenuto vista la mancanza di documenti validi. Così restò nel cassetto, sempre sorpassata da altre città, da altri luoghi, probabilmente tutti più importanti o "urgenti".
Quest'anno, però, ce l'ho fatta. E Bratislava è stata la prima tappa di questo viaggio che ci sta portando un po' a Est in Europa.
Un giorno e mezzo, giusto il tempo di un assaggio, di una passeggiata al castello, di un giro tra le chiese, inclusa quella azzurra che sembra un confetto, di un girovagar spesierato nel centro, tra le imposte dipinte, gli omini di bronzo, i mille bar, il viale di Stare Mesto e una rassegna di musica Rom che riempie di violini zigani l'aria. E poi libri e librerie. Ovunque. Nei caffè, per strada, nelle nicchie.
Free reading, si legge talvolta. E se non fosse che la lingua è oltre l'incomprensibile uno ne approfitterebbe anche. Intanto si ammira la civiltà di un paese in cui il pubblico significa di tutti e non di nessuno.
Quest'anno, però, ce l'ho fatta. E Bratislava è stata la prima tappa di questo viaggio che ci sta portando un po' a Est in Europa.
Un giorno e mezzo, giusto il tempo di un assaggio, di una passeggiata al castello, di un giro tra le chiese, inclusa quella azzurra che sembra un confetto, di un girovagar spesierato nel centro, tra le imposte dipinte, gli omini di bronzo, i mille bar, il viale di Stare Mesto e una rassegna di musica Rom che riempie di violini zigani l'aria. E poi libri e librerie. Ovunque. Nei caffè, per strada, nelle nicchie.
Free reading, si legge talvolta. E se non fosse che la lingua è oltre l'incomprensibile uno ne approfitterebbe anche. Intanto si ammira la civiltà di un paese in cui il pubblico significa di tutti e non di nessuno.
Cromatismi in un caffè. Per altre foto, c'è il link a Instagram |
domenica 3 agosto 2014
Qualcuno glie lo dica, per favore
Va bene: la retorica è un'arte. Arte antica. Che mira a persuadere, a convincere chi ascolta.
Tuttavia, si parla di figure retoriche. Figure, al plurale. Vuol dire che ce ne è più d'una. Wikipedia. che pure non è fonte unica né certa di sapere, ne conta 172 in altrettante pagine.
Quindi, qualcuno può spiegare al signor Giuseppe detto Beppe e al signor Carlo che non esiste solo l'iperbole? Per altro, quando si scelgono paragoni odiosi, l'iperbole risulta se possibile ancora più fastidiosa.
Questioni di stile (ovvero florilegio domenicale)
Quando anni fa (tanti anni fa) ho compreso l'inarrivabilità delle Heburn (Audrey e Katharine, in stretto ordine alfabetico), ho cercato di farmene una ragione.
E non è solo una questione di stazza, è soprattutto una questione di stile. Tralasciando la faccenda del petit noir, che a non saperlo indossare si rischia subito l'effetto vedova, vogliamo parlare della classe con cui Katharine indossava maschilissimi pantaloni, o degli affusolatissimi pescatori che fasciavano la minuscola Audrey?
Detto questo, posto che comunque il mio essere vanitosamente donna non mi fa trascurare la questione moda & affini,
io
odio
le
fashion blogger
Le fashion blogger, tipo la Chiara Ferragni di The Blonde Salad (non le regalo un clic, quindi se vi va ve la cercate con Google), o l'americana Wendy Nguyen di Wendy's Lookbook (come sopra per il clic). Quelle che si alzano al mattino con in testa l'outfit della giornata fin dalla sera prima. Ma che dico l'outfit, gli outfit della giornata. Mattino-pomeriggio-e-sera. Quelle che hanno la clutch, che fanno il pairing e che scelgono il pattern. Mon Dieu.Ma visto che siamo in un mondo libero, libere loro di esistere, libera io di non frequentarle.
Però, però, però, devo dire che mi divertono i blog anti.
Per capire cosa intendo, vi consiglio il suo ultimo post, in ordine di data, dedicato a Vogue e quello sullo Shatush. Meritano.
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