lavorare là dove Milano finisce e
si ammorbidisce in qualche ultima cascina,
le previsioni del tempo...
giusto alle porte di Natale.
Che nessuno me li avrebbe regalati così, ecco.
Questo post, ieri, lo avrei scritto diversamente. Cioè, io sono uscita trafelata dalla metropolitana e mi son precipitata in Feltrinelli per comprare subito la mia copia. La prima. La seconda, che voglio regalare a una amica, arriva domani dal libraio sotto casa. E sul tram sono partita dalla prefazione, per poi lanciarmi in un saltabecchìo a ruota libera, prima cercando i libri che mi interessavano, poi leggendo le recensioni di alcuni anobiani per i quali ho un debole. Sì, certo, ho cercato anche la mia, di recensione. È stata la prima cosa che ho fatto, a dire il vero, prima ancora di pagare il libro alla cassa. E poi l’ho fotografato, il libro. Sulla scrivania, dove l’ho poggiato appena arrivata in ufficio, rimandando le ulteriori esplorazioni alla pausa pranzo, o al ritorno a casa.
Però poi, in pausa pranzo, invece di scrivere il post che avevo in mente (con tutta la difficoltà nel tradurre in parole un sorriso largo da qui a lì), mi son messa a curiosare in giro per legger che se ne diceva.
E il sorriso mi si è spento un po’.
Perché poi le questioni son sempre le stesse, quelle cioè che fanno di noi italiani una nazione di CT, tutti capaci a far meglio del Mourinho di turno. E detto da interista ho detto tutto. E sinceramente tutti i perché così invece che pomì mi san tanto di “io avrei saputo far di meglio”. In realtà ognuno di noi avrebbe fatto diversamente, forse, perché io non son te e il mio sentire è diverso dal tuo. Che scoperta. Senza contare che un criterio nella scelta comunque ci voleva e quel criterio è dichiarato nella prefazione. Basterebbe leggerle, ogni tanto, queste benedette prefazioni. Probabilmente, se mi fosse stato chiesto, tra le mie recensioni ne avrei segnalata un’altra. Ma non sarebbe stata in linea con il criterio scelto dalla curatrice per stilare la sua raccolta dei 100 + 100. Punto.
E poi c’è stato quell’aggettivo, che ho letto su aNobii, che mi ha colpito: aberrante. Operazione aberrante ha scritto qualcuno. Ecco, questa proprio non l’ho capita. Quando a luglio ho letto per la prima volta del progetto del libro ho pensato che fosse un modo carino di far conosce aNobii a chi aNobiano non è. Perché la maggior parte di noi ci è arrivata col passaparola. Perché sono in tanti, anche tra coloro che di libri si occupano per mestiere, che non han proprio idea di cosa sia questa community. E perché sono in tanti a liquidarla come la solita socialcoseria da perditempo. E allora, vien da dire, perché no?
Il fatto che Rizzoli si sia prestata all’operazione non mi fa scandalo più di quanto me ne facciano altre simili operazioni. E il fatto che i proventi vadano a una associazione umanitaria dovrebbe comunque togliere quell’odore di lucro che qualcuno vuole a tutti costi sentire.
E se qualcuno storce il naso all’idea che Greg Sung o chi per esso cominci a considerare aNobii come possibile fonte di business, forse non si rende conto che è così che funzionano anche i socialcosi. Anche gli altri, quelli belli e blasonati. Perché non nascondiamoci dietro il dito, ma FaceBook e Twitter si stan rompendo le corna proprio alla ricerca del modello di business giusto, che consenta di sostenerne la crescita senza precipitare nel rosso più rosso che c’è. M-o-d-e-l-l-o- d-i- b-u-s-i-n-e-s-s. E in genere queste cose funzionano proprio sulla forza di quanti ti conoscono e quanti utilizzano i tuoi servizi. Un bel loop: più utenti hai, più forza contrattuale hai, più soldi hai per attivare nuovi servizi che ti portino nuovi utenti, che ti consentano di aumentare ancora un po’ la tua forza contrattuale e bla e bla e bla.
Comunque a me il libro piace, mi diverte, mi ha fatto già scoprire un paio di aNobiani che voglio andare a cercare poi sul sito, mi ha rafforzato in alcune scelte di non-lettura e mi ha instillato qualche dubbio su una paio di altre. Non male per un’andata e un ritorno dal lavoro.
Loro, le preadolescenti erano nove. Più due maschi, di certo interessati più alla possibilità di star per due ore e un pezzo di fianco alle loro amate che alle prodezze di Edward e compagni. Perché per quanto ce la raccontiamo alla fine è sempre la solita vecchia storia nel buio di un cinema.
Comunque, con tre quarti delle sale destinate ai vampiri e le rimanenti a 2012 e Planet 51, ho finito per cedere all'idea delle mie amiche di vederlo anche noi.
Imperdibile, su per giù.
La storia l'ho capita anche io, che non ho letto i libri e mi son tenuta alla larga dal primo film. Ci son comunque un po' troppe cose da spiegare per un racconto che in fondo è puro fantasy. Per esempio, perché se i vampiri non possono aver figli questi hanno un padre? E perché se loro considerano padre chi li ha trasformati Bella vuole che sia proprio Edward a mozzicarla? Mica è chiarissima questa cosa, ecco.
Sia come sia, le ragazze sdilinquiscono per il pallido Edward, anche se, secondo una di loro, potrebbe almeno depilarsi il torace. Meglio il pallore integrale, cioè.
Le mamme preferiscono Jacob, ma si sa, dopo una certa età il muscolo guizzante ha il suo bel perché e comunque abbiamo abbastanza turbamenti di nostro per trovare affascinanti i tormenti di un'anima oscura.
Bella è un po' scipita. Per me una noia colossale, per loro la dimostrazione che se Edward vivesse dalle nostre parti non avrebbe certo perso tempo con lei.
Il mio problema, alla fine, non è stato restare sveglia malgrado il pomeriggio domenicale, bensì trattenere il fou rire. Perché quando al termine della drammaticissima scena a Volterra il cattivo di turno interrompe la lotta perché "tra poco arriva Heidi", io ho cominciato a pensare a Peter e alle caprette, con un effetto immaginabile.
Bello comunque il finale e non mi importa se faccio spoiling. Di fronte a lei che vuol esser sua per sempre, lui non resiste alla tentazione di far di lei una donna onesta. Per sempre si, purché uniti dal sacro vincolo.
Mica pizza e fichi.
Lo scontro era già scaduto a livelli bassissimi, e gran parte delle porcate le avevano fatte loro e di certo non avrebbero cambiato metodo da oggi, visto che oggi – il Quattro Luglio – era un giorno troppo decisivo per potersi permettere di giocare pulito. Oggi, alla Passeggiata e Fiera delle Arti del Giorno dell’Indipendenza, l’obiettivo della campagna di Craspedacusta era il Predominio Visivo Totale. Non si sarebbero accontentati di meno. Se grazie alla creazione e alla collocazione di palloncini, poster, coccarde, volantini, striscioni e mani giganti di gommapiuma fossero riusciti a ottenere il Predominio Visivo Totale, sarebbe sembrato che avessero vinto la battaglia. E se fosse sembrato che avevano vinto la battaglia, avrebbero dato l’idea di andare a mille, e se avessero dato l’idea di andare a mille avrebbero avuto il coltello dalla parte del manico, e se avessero avuto il coltello dalla parte del manico allora quelli dello staff di Murray Olongapo, il loro avversario democratico, magari si sarebbero scoraggiati, sarebbero precipitati nel panico e nella disperazione, e magari avrebbero provato a recuperare spendendo subito, troppo presto, altri soldi, e se fosse andata così Craspedacusta avrebbe avuto più risorse da sfruttare sul rettilineo finale.
Se non è vietato, è obbligatorio - Dave Eggers
Incapparci in una torrida serata di fine luglio, tra un melone, la birra fresca e due chiacchiere in cucina, ha il sapore del tempo perduto. Come il prefisso 06, per chi chiama da fuori Roma.