martedì 28 settembre 2010

Catalanate

E alla fine, dopo 11 giorni 11 in questo posto, qualcosa l'ho capita anche io.
Se abitassi a San Francisco me ne starei all'aria aperta almeno il millepercento in più di quanto non faccio a Milano.
Se abitassi a San Francisco, la mia macchina sarebbe a riparare ogni due per tre. Per i freni, per la frizione, per i cionchi agli incroci.
Se abitassi a San Francisco, per effetto dei due punti sopra citati, avrei gambe e glutei tonicisssssssssimi, a furia di sgambare su e giù, scollinando da una parte all'altra della città.
Ma non abito a San Francisco, quindi il problema non si pone.
Comunque ho fatto anche la turista, anche. Da venerdì pomeriggio a domenica pomeriggio, per la precisione. E ho camminato camminato camminato fino a non poterne più. In religioso pellegrinaggio sono andata al Vesuvio Café, alla Citylights Bookshop di Ferlinghetti, e non mi son fatta mancare quel tuffo in quel regno del freak che è Haight Street. Repechage pazzesco, da Jimi a Janis passando per flower power. Fa un po' tristezza pensare che adesso sia solo folklore, condito da una buona dose di business.
Forse della rivoluzione di allora qualcosa è rimasto, ed è quell'aria da "be what you wanna be" che si respira per strada. In fondo forse la libertà è anche questo.

mercoledì 22 settembre 2010

Neverending

Che forse un po' me la racconto. Ma in questa differita che sto vivendo sulle italiche questioni, quella che mi è "arrivata" (non dieu, sembro la Maionchi) è la notizia della morte della Mondaini. Perché me l'aspettavo, più prima che poi, e poi perché è così che doveva andare. Così che funziona nelle storie d'Amore, quelle con la A maiuscola. Perché dopo una vita insieme, una vita senza non ha più senso. Forse. E se non hai qualcuno intorno che quel senso te lo fa trovare, semplicemente ti lasci morire. Così. O forse son io che me la racconto, perché credo anche un po' alle favole.

Tourbuillon

Ok sono qui da cinque-giorni-cinque e praticamente non ho visto una beatissima cyppa, a parte il fantasmagorico convention center, il Fisherman's Wharf dove mi hanno trascinato due sere a cena, il Science Museum, dove mi hanno ri.trascinato sempre per una cena, rigorosamente DOPO l'orario di chiusura. A Fisherman's Wharf ho visto i leoni marini, però, e questo mi è comunque parso un bel diversivo.
In compenso ho visto come gli ammerikani riescono a organizzare un convegno da 41.000 persone facendolo sembrare quasi una scampagnata, dejeuner-sur-l'herbe inclusi. Bravi, non c'è che dire. Qui in questa sala dove sto rinchiusa per tutte le ore in cui non sono rinchiusa altrove si parlano un sacco di lingue e le facce sono di tutti i colori. Bello. Ho scoperto che la mia vicina di postazione, che viene dalla Malesia, lavora con un'altra collega con cui avevo trascorso una settimana a Taiwan qualche anno fa. Verrebbe da dire che il mondo è piccolo se non fosse per la banalità della cosa e, soprattutto, per la sua falsità. Non è proprio piccolo, no no.
Con i colleghi a Milano la situazione è quasi surreale. Lavoriamo sul ciclo delle 24 ore ormai, io attacco quando loro staccano e viceversa. Sembra quasi efficiente, se non fosse un po' oneroso, ecco.
Comunque stasera dicono ci sia la grande festa a Treasure Island. Solo per noi, per questo manipolo di 40.000, i Black Eyed Peas e la Steve Miller Band. Estiqwatzi.

mercoledì 15 settembre 2010

Me, You, We

Che quando oggi mi hanno abbordato per una intervista per Weporn sono appena un po' trasecolata.
We? Me? You. No, vabbè, Youporn è una cosa. Weporn un'altra: questa. E io non lo sapevo.
Comunque offrivano anche la maschera per non farsi riconoscere. Rosa, a me. Azzurra ai maschietti. Tremendo.


[Merci ma] Tante

Che oggi lo zio [Google] celebra la nascita della zia [Agatha].
Qualcosa come 120 anni fa. E io mi sdilinquisco perché per la zia ci ho un debole.
Tranne quando piazza nelle sue storie Tommy e Tuppence, che quelli non li reggo proprio.

lunedì 13 settembre 2010

Lang e Lang

In effetti è una settimana che rimando la faccenda di Lang Lang, del MiTo e del concerto di lunedì scorso. Però Poison, a casa sua, ha raccontato la questione dalla parte di To e mi è punta vaghezza di decidermi a farlo anche io dalla parte di Mi.
Che poi possiamo dilungarci a disquisire sul fatto che il Palasharp forse non sia la sede migliore per un concerto di musica classica (a proposito, per chi non è di Milano, il Palasharp era il PalaTrussardi, il PalaVobis, il PalaTucker, dipende da quanti anni avete e da quanto in là arriva la vostra memoria) ci sta anche. Ma in fondo c'è una logica di compromesso che in questi eventi fa mettere insieme i numeri, l'impegno economico e gli spazi. E compromesso è stato. Meno peggio di quanto temessi, anyway.
Il punto è che il divo atteso dalle masse plaudenti era lui, Lang Lang, bravissimo ma estremamente compreso in se stesso. Perfetto interprete dell'artista che interpreta un concertista che interpreta un pianista. Per cui già in coda all'ingresso c'eran fanciulle di tutte le nazionalità con gran fasci di rose rosse che persin io ho intuito non fossero destinate al primo violino. Sulle mise, si passava dalla gran sera al bermuda quadrettato con scarpa DC e pedalino in tinta. Passando per bambine con collant bianche e ballerine della cresima e per fanciulle alla loro prima soirée con la pochette di maman. Pace. Si può sorvolare su quasi tutto.
Non su una cosa, però.
E' vero che il divo Lang Lang suonava la prima parte del programma, bis chopiniano incluso. E' però vero che la serata era divisa in due parti, con la seconda ad appannaggio completo dell'Orchestra Filarmonica della Scala, impegnata nella Patetica di Čajkovskij. Quell'alzarsi a frotte, appena il Divo ha lasciato definitivamente la scena, è stato insultante. Per la musica, per l'Orchestra, per gli altri spettatori e credo anche per il Divo stesso, ridotto a fenomeno da baraccone, poco importa cosa fosse sul palco a fare. E son certa che la maggior parte dei transfughi, fanciulla alla sua prima soirée con la pochette di maman inclusa, se lo son permesso perché in fondo costava solo 5 euro. Una logica del costa poco, vale poco, merita poco, che rende certe persone degne di pagare dieci, venti volte tanto per avvicinarsi un'altra volta a un concerto. Nella paludata cornice di un teatro dell'opera, si sarebbero schiodati dalle sedie solo all'ingresso degli inservienti per ripulir la sala. Zotici.

p.s. La seconda parte del concerto è stata semplicemente m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a. Alla faccia loro.

Frappucino, No Thank You

Ogni tanto, più o meno come la leggenda metropolitana del cane thailandese che invece era un topo, salta fuori la questione che Starbucks potrebbe aprire in Italia. Estiqatsi, vien da dire. Cioè, per una che al massimo ordina un Espresso Solo non è che la questione cambi la vita. Si, è vero, qualche volta ordino anche il tè. Capirai. Zero Frappucino, per intenderci. Comunque di avercelo sotto il Duomo non me ne cale proprio, anzi. Un po' come quando viaggiando sulle autostrade all'estero mi trovo davanti un Autogrill. Fuori contesto. Evito.

sabato 11 settembre 2010

Noncihovoglia

Non è che io voglia spacciarmi per quella superimpegnata, perché lo sono ma lo sono anche gli altri e alla fine sembra una gara di celodurismo, io sono più impegnata di te, tiè. È che mi son persa via in questi giorni. E comunque non ne avevo tanta voglia di scrivere. E poi è ricominciata la scuola - una, che l'altra riparte lunedì - e poi c'era il test all'università, e poi c'erano i deliri da rientro in ufficio, che sembra che chissà che sia cambiato e invece siam sempre lì che giriamo come criceti nella ruota. E poi ho fatto la marmellata. Di fichi. Vorrei fare il pesto, oggi, se mi riesce.
E poi c'è una novità.
Non ho fatto nessun proposito, buono o cattivo che sia, per il nuovo anno. E me ne vanto.
Que sera sera.
Oh.

lunedì 6 settembre 2010

Cesoir

Comunque stasera io vado qui. A sentire lui. E sicuramente c'è già qualcuno che storce il naso. Per lui, per il posto, per l'acustica, per Čajkovskij, per qualunque altra cosa. Però io ci vado. Noi ci andiamo. E già l'andarci farà bella la serata. Tutto il resto verrà da sé.

Tell me why I don't like Sundays

Che ieri mi ci son messa pure io ad ascoltare l'ex che parlava da Mirabello. E non è che ne andassi proprio fiera. Però, va a capire che magari si svoltasse davvero. Va bene, ha detto tante cose, condivise e condivisibili per di più. Però lui sta là e vuole un patto di governo. Qualunque cosa sia un patto di governo. E alla fine, dopo tutto l'entusiasmo per il compagno Fini, a me vien solo da dire che io le vesti non me le strappo. Perché tendo a ricordarmi chi è Gianfranco. E lui non ci tiene a dimenticarlo, visto che son settimane che con il suo amico Italo va ribadendo ai camerati che sta a destra. Non a sinistra. Né ci andrà, a sinistra. E allora mi ci incazzo. Perché ci voleva che il tavolino a tre gambe perdesse una gamba per farlo traballare. Mentre l'opposizione... Do you know o-p-p-o-s-i-z-i-o-n-e? Va beh. Bersani in questi giorni deve aver cambiato il ghost writer. Fa battute che vorrebbero essere ficcanti. Magari lo sono anche. Il punto è che non mi sembra che si abbia bisogno di un battutista. Per quello basta e avanza il barzellettiere di Arcore. Anche ammettendo che le elezioni si possano vincere a colpi di boutade, sarà mica il caso di provare a costruir qualcosa? Anche Zelig, alla quindicesima edizione stufa.

venerdì 3 settembre 2010

Spigolature di un venerdì di inizio settembre

Più o meno un question time. Dove la prima domanda è se è davvero necessario proteggere gli imbecilli dalla loro imbecillità. In fondo la selezione naturale un qualche perché ce l'ha sempre avuto.
E la seconda domanda è se sarei/sarò disposta a spendere 40, dicasi 40 eurini per il profumo al limone e pepe nero dei Sex Pistols o di ciò che di loro resta. Non credo. E poi non mi va di sembrare un'orata al cartoccio. Mancherebbe giusto l'alloro. E comunque i Sex Pistols erano un'altra cosa.
Terza domanda, e poi potrei chiuderla qui. La Santanchè-Santanché-Santanscè chiede a gran voce una legge anti-burqa e si domanda dove sia lo sdegno dei militanti di sinistra nei confronti della condanna di Sakineh Ashtiani. Perché mai la signora non ha fatto sentire il suo di sdegno la scorsa settimana, di fronte alle 500-hostess-500 chiamate a raccolta - qualcuna pure velo-munita - ad ascoltar la predica di Gheddafi?
Sarà.

giovedì 2 settembre 2010

Koh-i-Noor

Che non è il diamante, ma per me vale anche di più. Perché il diamante non me lo posso permettere, ma le matite colorate invece sì. E poi io son di quella generazione che cartoleria era l'isola del tesoro e il cartolaio, per non parlar del figlio, l'uomo baciato dalla fortuna. Così rendersi conto che a České Budějovice c'era la sede della Koh-i-noor ha quasi tolto ogni altra attrattiva alla città, che tra la piazza e la Budweiser Budvar ne avrebbe parecchie, in realtà. Il regno della matita, voglio dire. Mica pizza e fichi. La fabbrica è di quelle come si disegnavano una volta: con i mattoni rossi e una luuuuunga ciminiera che si vede da lontano. Ma non si può visitare. Non da turisti, ecco. In compenso c'è la miniera di grafite, che adesso non ci lavora più nessuno perché è antieconomico e la grafite conviene farla arrivare dalla Cina. Quella si visita, invece, e ti portan giù con dei carrellini che sembra Gardaland, se non fosse che nessuno lì ci rideva, quando andava a far saltar la roccia. E poi si sguazza in acqua e pantano e si ritorna su con la faccia tutta nera, e con le dita tutte impastate a furia di sfregarle su quella vena che ancora c'è. E poi, in città, c'è lo spaccio. Un cartolaio, né più né meno. E noi a far la coda insieme alle mamme ceche, pronte con gli acquisti per la scuola. La loro. Noi estasiate davanti a scatole e scatole di matite, sanguigne, carboncini, pastelli, mine, inchiostri. Che alcune le avrei comprate solo per quanto eran belle. Per appenderle come un quadro alla parete. Poi ho desistito. Un po'. Solo un pochino, però.