domenica 31 marzo 2013

Iperboli


Visto che martedì non è così lontano, è il caso che recuperi i due film delle settimane precedenti, altrimenti il mio proposito di tenerne traccia va definitivamente a farsi benedire.
 Benché siano due film diversissimi, di due registi diversissimi, che raccontano storie diversissime, con attori diversissimi, c'è, a parer mio, un filo sottile che li lega.
L'iperbole.
Perché tanto La parte degli angeli, di Ken Loach, quanto Djiango Unchained (sì, l'ho visto finalmente) di Quentin Tarantino, si snodano lungo il filo dell'assurdo e dell'iperbole, dell'irreale e dell'irrealistico, con un bel fondo di uncorrectness che non si può non amare.
Poi si ride.
In entrambi i film.
Ed è un riso liberatorio. Di chi si siede al cinema e semplicemente gode della bravura di chi il cinema lo sa fare davvero.
Poi ci possono stare tutte le elucubrazioni, su quanto la leggerezza dei ladri di whisky (NON whiskey, sia chiaro) tolga il peso della denuncia sociale, o quanto il grandguignolesco Django stia al di sotto della genialità dei Bastards o dell'originalità di Kill Bill (il primo, ovvio).
Il fatto è che io mi sono divertita. Ed entrambi sarei già pronta a rivederli.
Soprattutto Django, perché ci sono quelle infinite citazioni che io ancora mica mi son studiata.


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E poi c'è la morte di Jannacci. Che in questa Pasqua grigia sembra che la pioggia sia scesa a salutarlo.
Ed è difficile scegliere un solo brano a fare da bookmark.
Adesso mi viene in mente questo, perché mi sembra la summa del suo lavoro: la musica, l'ironia, la milanesità e quella tremenda attualità che fa dimentica i 29 anni trascorsi da quando fu composto.




domenica 17 marzo 2013

Come Harrison Ford in Frantic



Il cineforum di questa settimana, quella che si chiude oggi, per capirci, aveva in programmazione Moonrise Kingdom (non scrivo il sottotitolo perché in italiano è pietoso), un gioiellino di Wes Anderson, perfetto esempio di come si possa parlare nell'ordine di preadolescenti-famiglie-più-o-meno-disastrate-campi scout-pubertà-divari generazionali senza scadere nell'ovvio, nel banale e soprattutto nel melenso.
Qui siamo lontani anni luce dalle gemelle Olsen, tanto per capirci. Si ride, ma si ride del sarcasmo e di una rara ironia graffiante con cui il regista guarda il mondo dei grandi.
Il cast non è proprio di seconda scelta, visto che, a parte i due protagonisti bambini di cui solo Wikipedia o IMDb mi possono ricordare il nome, in scena compaiono Frances McDormand, iconica per me in Fargo, Harvey Keitel, una irriconoscibile Tilda Swinton, Bill Murray e Bruce Willis.
Ed è proprio lui, in fondo, la sorpresa.
Perché vedergli fare la parte del poliziotto triste e stupido, testuale nel film, è stato come quando Harrison Ford ha demolito in un paio di sequenze Indiana Jones in Frantic. E guarda un po', entrambi erano comunque in bilico su un tetto.

mercoledì 6 marzo 2013

Wadjda - E le bici sono verdi



Dicheno che chi ha voluto portare in Italia questo film saudita, Wadjda per l'appunto (ah si pronuncia Uashda, credo), l'ha voluto chiamare La Bicicletta Verde perché ci ha trovato anche quel po' di neorealismo che gli ha fatto ricordare quelli che le bici le rubavano.
Non so, io nell'esegesi mi addentro sempre poco perché rischio le famose figure da cioccolataia.
Anyway a me il film è piaciuto, ma proprio tanto. Perché si può parlare della condizione della donna là dove "la sua voce non deve oltrepassare la porta di casa" o dove il nome di una figlia femmina non è importante su un ramo di un albero genealogico senza per forza usare la cifra del dramma.
Perché il film, in sé, è leggero, con quegli sprazzi di ironia che non nascondono la realtà, semmai la rendono ancor più vivida nella sua quotidiana semplicità.
Brava la regista Haifaa Al-Mansour, ancor più spettacolare Waad Mohammed, che interpreta Wadjda, con il suo sorriso meraviglioso, così come ho trovato bellissima, nel suo candore, anche la figura di Abdullah, interpretato da  Abdullrahman Algohani.
Entrerà a far parte della cineteca di casa?
Si senza dubbio.

venerdì 1 marzo 2013

All You Need Is Love - Love Is All You Need

"Quando vedo un barbone con un cane mi vien voglia di dargli dei soldi. Per il cane".
"Io invece non gli do un cazzo. Mi fanno schifo tutti e due".
Mi passano di fianco veloci, nella frenesia della stazione nell'ora di punta. La voce di lei velenosa, in singolare contrasto con quella di lui, empatica per lo meno nei confronti del cane. Che di entrambi, evidentemente, almeno lui se ne frega.
Ed è vero che siamo diventati cattivi e incattiviti, come se tutto ci debba essere per forza estraneo e noi a tutto si debba essere ostili.
E mi stona con il film dell'altra sera, Love Is All You Need, e con il sorriso di Trina Dyrholm, che in un racconto solo apparentemente leggero, rappresenta lo sguardo di fiducia con il quale qualcuno sa ancora guardare al mondo e alla vita.
Per fortuna.

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Per fortuna è venerdì. Davvero. Questa settimana mi ha sfinita. Totalmente.