mercoledì 26 marzo 2014

Scomfort Food

No, non ho le foto. Ho evitato. Ma credo che questo viaggio di ritorno dagli Stati Uniti sia stato il peggiore in assoluto della mia ormai lunghina carriera di viaggiatrice, per lo meno dal punto di vista del rancio.
Che va bene che si viaggia in economy e bisogna accontentarsi (chissà perché poi?), ma ci sono dei limiti che non dovrebbero essere oltrepassati. E qui ci sono arrivati.
Nel viaggio di andata, sotto l'ala protettrice di United, devo dire che è andata dignitosamente su entrambe le tratte. A parte la pizza di cui ho parlato in precedenza, il bicchiere di latte con il biscotto è stato un momento relax quasi casalingo.
Il ritorno, invece, è stato affidato a British, che ha fatto di tutto per disintegrare quel po' di reputazione che la cucina inglese era riuscita a recuperare in questi anni.
Premesso che evito per principio i cheese macaroni per evidenti motivi religiosi, ho optato per il pollo.
Così mi sono vista recapitare un vassoietto contenente: una ciotolina con insalata prossima a trasformarsi in compost, un contenitore in alluminio con due-dicasi-due cucchiai di riso bianco bollito, senza sale e scotto, due-dicasi-due bocconi di pollo annegato in una salsa rosso-arancione speziata mezza dolce, mezza salata ma forse anche un po' acida e non mi azzardo a pensare perché, un trancio di finta cheese cake, senza cheese, sostituito da una glassa di zucchero, un panino del diametro di 4 centimetri ancora congelato.
Abbandonata la cena al suo triste destino, ho confidato nella colazione. Che a un'ora e mezza prima dell'atterraggio a Londra è arrivata: una barretta di cereali, 10 grammi di uvetta sultanina e un minicroissant ancora congelato. Alla mia richiesta alla hostess di qualcosa di diverso da un ghiacciolo per colazione, mi sono sentita rispondere che bastava che aspettassi un pochino o lo mettessi vicino al bicchiere del tè caldo ed entro pochi minuti si sarebbe ammorbidito.
Nell'ultimo transfer, da Londra a Milano, mi è stata offerta una insalata di pasta, pomodori secchi, mozzarelline e pesto sulla quale ho sorvolato senza ripensamenti, soprattutto dopo aver osservato la smorfia di disgusto del passeggero una fila avanti a me al suo primo boccone.


In compenso, nel viaggio di ritorno mi sono goduta i cartoni animati, come una bambina: Frozen, tanto per cominciare, e poi Despicable Me 2 (Cattivissimo Me 2), con tutta l'armata dei Minions. Sentivo di meritarmi un po' di riposo!

Sorpresa

In questa fase in cui Berlusconi è fuori gioco e Renzie non è ancora abbastanza conosciuto da meritarsi conversazioni serali, ero preparata a trascorrere queste giornate OltreOceano rispondendo a estatiche domande sull'Italia, su Roma, Firenze, Venezia, Milano. E poi Bellagio (sarà colpa di George Clooney?), Torino, Lecce. Ero preparata alle sviolinate di "Lovely", ero preparata a sentirmi dire quanto l'Italia sia il loro "favourite country in the world", ero anche preparata a sentirmi sciorinare antenati lucani, campani, veneti.
A una cosa non ero proprio preparata.
A sentirmi citare "that incredible and fantastic nun".
E per fortuna sapevo chi fosse, grazie al tam tam di Repubblica e del Corriere.
Giuro, la prossima volta non solleverò il sopracciglio con aria dubitativa quando leggerò di un qualsiasi nuovo fenomeno in Internet.


lunedì 24 marzo 2014

Comfort Food

La settima ora di un volo verso New York è la più critica. E' quando senti le gambe formicolare, non trovi la posizione, il vicino ti è fastidioso anche se tace, cammini su e giù facendo uno stretching immaginario, soprattutto cerchi di non pensare che, una volta atterrata, ti toccano la security newyorkese,  4 ore di attesa e poi altre 5 ore di volo.
Ed è proprio in quel momento, quando niente sembra dare requie, che nell'aria si spande un profumo inconfondibile.
Pizza!


Si pizza. Pizza calda, americana, cioè alta, con sopra di tutto, dal formaggio ai funghi alle cipolle, però anche croccante (che se uno pensa come riducono normalmente il banalissimo riso bollito c'è da gridare al miracolo). Credo sia stato un piccolo momento di estasi collettiva. E l'ho visto, si l'ho visto, il vegetariano del sedile accanto, guardare con rammarico le sue verdure bollite, gettando occhiate bramose alla pizza del suo vicino. Sorvolo sulla scelta dei film, però. Bati sapere che il meglio era Thor. Ho detto tutto.

p.s. Il Doodle Google americano di oggi è questo:




venerdì 21 marzo 2014

Techno Addicted

Mentre Google celebra poeticamente l'equinozio di primavera, mettendomi pure un filo d'ansia (ma la primavera non iniziava il 21? o devo cancellare riminiscenze infantili in nome della rotazione orbitale?), molto poco poeticamente io ho perso il telefono.
Anzi, l'ho dimenticato.


Il che è peggio. Soprattutto perché l'ho lasciato in un posto non sufficientemente vicino da consentirmi un veloce recupero. Morale: un giorno e mezzo senza. appendice. Un giorno e mezzo senza telefono che va ad aggiungersi alle altre cinque ore senza del giorno procedente, quando il telefono è stato dimenticato nella macchina presa poi da una delle creature.
Ora, mentre Freud ha già pronte le sue teorie sul perché io per due volte in due giorni abbia lasciato in giro l'oggetto, io ho amaramente constatato quanto ne sia dipendente, lavorativamente e personalmente parlando.
Io riconosco di subire il fascino della tecnologia, anche di quella che sfocia nel gadget, fascino cui solo una buona dose di buon senso mi fa resistere. Però questa volta è stata dura, davvero. Anche se ho scoperto di essermi persa almeno un paio di telefonate foriere di problemi e rogne. Per cui forse non è andata così male.

Nel frattempo il giorno è cambiato e Google celebra Ayrton. Io mi ricordo. Son passati 20 anni, ma mi si stringe ancora il cuore.

martedì 11 marzo 2014

I cento giorni

Un paio di cose invidio degli usi e costumi degli studenti di oggi. Per me, cresciuta in anni in cui la ritualità era quella di San Firmino (e ho detto tutto), oltre alla coroncina di alloro il giorno della laurea fa anche invidia la cerimonia dei cento giorni alla maturità.
Vedendo stamane ragazzi normalmente in tuta e ragazze solitamente in jeans andare a scuola in giacca e camicia (sì, qualcuno ha osato pure la cravatta) e con l'abitino bon ton per tacer di quelli zavorrati di tutto l'armamentario necessario alla messa in scena "particolare" mi è venuta un po' di nostalgia di quegli anni lì. Di quando il futuro era ancora pieno di possibilità e sembrava solo da cogliere.
Le due creature già maturate scelsero rispettivamente la foto bon ton e il tableau vivant ambientato nel classicissimo Olimpo. Negli annali sono entrate nella leggenda foto in ambiente marino, a sognare una vacanza ancora lontana, tableaux in stile Foro Romano e ricostruzioni di Ruggenti Anni Venti mai conosciuti forse nemmeno nei libri di storia.
Sempre meglio che gli stucchevolissimi e inutilissimi ricordi di parlamentari e ministri, raccolti, non si sa bene perché, da Repubblica. En passant, io non li ho ascoltati, mi è bastato il titolo.

Infine, una risposta al post precedente. Il mio fine settimana di lavoro è trascorso qui, a cavallo di un sabato ad Amburgo e una domenica ad Hannover. 



p.s. Nella seconda foto in alto: sì, confermo, è un lucchetto. Moccia non la pagherà mai abbastanza.

domenica 9 marzo 2014

Riscossioni

Ricevere come regalo di Natale il biglietto per uno spettacolo di Filippo Timi è sorpresa così gradita che uno tollera più che volentieri un'attesa di due mesi emezzo prima della "riscossione".
Ieri sera andava in scena il Don Giovanni, al Franco Parenti. Pubblico eterogeneo, con stuoli di fanciulle in deliquio per il bel Filippo e stuoli di fanciulli ugualmente bramosi.
Lui è bravo, indubitabilmente bravo. Con quel po' di culto della personalità (la sua) che gli consente di passare indenne anche attraverso passaggi paradossali.


Un po' televisivo, un po' lirico, irrimediabilmente comico, a tratti tragico, lo spettacolo attraversa tutte le sfaccettature della personalità di Don Giovanni, scardinando ogni convenzione letteraria, lirica e teatrale.
E in scena non finiscono solo gli attori. Il trionfo spetta ai costumisti, così spesso nell'ombra, e qui protagonisti di uno spettacolo che non ha bisogno di altre scenografie, tanto parlano di sé (e di lui) i costumi.



Intanto, per questo fine settimana, io sono qui. E purtroppo è per lavoro.


martedì 4 marzo 2014

Riassunto

La settimana del tourbillon, tra mordi e fuggi a Barcellona, laurea della creatura e tutti gli annessi alla laurea è finalmente alle spalle.
Bello eh, ché sarei ipocrita a sostenere il contrario. Ma troppo densa di scadenze e cose da ricordare da mettere duramente alla prova i pochi neuroni che abitano la mia scatola cranica.
Il clou domenica, con casa aperta per parenti e amici. Alla fine sono arrivati tutti, tutti e tanti ed è stato bello così. Il segreto in questo caso è non entrare in panico e.... accettare qualunque tipo di aiuto venga offerto. Così abbiamo sfamato gli affamati, dissetato gli assetati, chiacchierato fino allo sfinimento in una giornata in cui il tempo clemente ha permesso anche qualche evasione in giardino. I morosi delle figliole hanno subito il battesimo del fuoco della presentazione alle zie e ai nonni (una zia ultraottantenne passi, due, gemelle per di più, associate a nonno + nonna coevi sono l'equivalente di un cimento) e io mi sono goduta le scene metaforicamente attaccata alla mia ciotola dei pop corn. Come al cinema.


Archiviati anche gli Oscar, tutto sommato senza particolare stupore. Cioè, non è che Gravity mi abbia fatto impazzire, però che la Cate Blanchett avrebbe vinto lo sapevo anche io, che di cinema capisco poco. E mi aspettavo anche l'Oscar a Sorrentino: dopo la messe di premi dei mesi scorsi era quasi inevitabile.
Un po' mi spiace per Di Caprio: credo che prima o poi debba toccare anche a lui. Però ha recitato bene anche la parte del felice-per-il-successo-altrui nella notte della premiazione. La statuetta gli andrebbe assegnata solo per questo.
Però, sempre con la scusa che io di cinema capisco proprio poco, dopo l'assegnazione sono tornata a leggermi le previsioni di Poison, che secondo me è sempre una fonte di ispirazione.

Infine, grazie alle solite offerte di Amazon, sono entrata nella mia nuova infatuazione letteraria: Edward Frederic Benson. Umorismo inglese nel periodo tra le due guerre, arrampicatrici sociali, dandy e ozi letterari. Un altro Woodehouse, forse un po' più femminile. Un divertissement.

C'est tout