sabato 28 febbraio 2009

Lucidar le scarpe

Il mio compito, da bambina, era lucidar le scarpe di tutta la famiglia il sabato pomeriggio. E oltre che un compito, sembrava un po' un rito. C'era la cassettina con le paste, grasse e profumate, nera, blu, marrone chiaro e marrone scuro. C'era il panno di tela, c'era la spazzola, anch'essa scura o chiara a seconda delle pelli, c'era l'ultimo panno, morbido, per tirarle davvero a lucido. La mamma ci teneva e ogni tanto passava a controllare. Diceva che la scarpe si preservavano a trattarle così, con cura. Adesso ci sono le spugnette brilla-e-sfavilla, le scarpe da tennis le butti in lavatrice, per quelle scamosciate, un colpo di spazzola prima di uscire. Non è che ci sia molto da preservare. Si usano, fin che reggono. 

[...]Poi, improvvisamente, Linda gli aveva chiesto perché fosse così difficile vivere in Svezia. «A volte ho pensato che è tutta colpa del fatto che abbiamo smesso di rammendare le nostre calze» disse Wallander.[...] «Nella Svezia in cui sono cresciuto, la gente rammendava ancora le calze. Ce lo insegnavano a scuola. Un giorno, d'improvviso, era finita. Le calze bucate si buttavano via. Nessuno rammenda più le calze di lana fatte a mano. Tutta la società si è trasformata. [...] Finché si è trattato solo di calze, il cambiamento in sé non era così marcato. Ma l'usa e getta si è rapidamente diffuso a tutto. Alla fine è diventato una filosofia, una sorta di morale invisibile ma molto presente nella mente della gente. Io credo che abbia cambiato il nostro senso per quello che è giusto e quello che è sbagliato, per quello che si può fare al nostro prossimo e quello che non si può fare. [...] La generazione che sta crescendo oggi [...] nel loro bagaglio di ricordi i tempi in cui si rammendavano le calze non esistono proprio. I tempi in cui non buttavano via né calze né esseri umani.» La quinta donna - Henning Mankell

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